Coach Marco Ramondino, tecnico del Derthona Basket ed assistente di coach Andrea Capobianco nelle Nazionali Giovanili, parla del momento del basket italiano nell’intervista rilasciato al dr. Roberto Castaldo, Performance Management Specialist.

Come valuti lo stato di salute del nostro movimento?
“Cagionevole. Ogni anno, anche nei campionati di primo livello, ci sono squadre che non riescono a portare a termine la stagione, prova di grande superficialità e incertezza riguardo gli aspetti fondamentali dell’attività. Ritengo poi che, con regole meno restrittive, le scelte sui giocatori sarebbero fatte diversamente: molti giocatori, a mio avviso, trovano ingaggi e spazi perchè c’è un numero minimo di giocatori italiani da avere nel roster: purtroppo non ce ne sono abbastanza per il numero di squadre, in particolare ci sono 46 squadre nei primi due campionati”.

Come si allenano le performance ad alto livello?
“Facendo innanzitutto un’analisi integrata, valutando aspetti tecnici, fisici e mentali, avvalendosi della collaborazione di professionisti, programmando e decidendo quanto più possibili in base a dei dati che valutano l’efficacia di determinate scelte. Bisogna cercare di stare alla larga dalle scelte di pancia e dalle sensazioni. E quando parlo di scelte di far giocare Tizio o Caio ma di cosa e come proporre determinate esercitazioni, della durata del lavoro, del tipo di comunicazione da utilizzare”. 

Che differenza trovi tra i giovani italiani ed in pari età stranieri?
“La principale differenza che personalmente ho notato è la differenza di maturità. Molti giocatori sembrano più giovani di un paio d’anni dei coetanei stranieri: purtroppo questa immaturità non viene compensata da un boom fisico successivo.”

Come fai ad uniformare background e abitudini di giocatori che vengono da culture e paesi diversi?
“La diversità è una grande risorsa. Nel corso della stagione si viene messi di fronte a tante difficoltà che possono essere superate solo attingendo alla varietà del vissuto dei nostri giocatori. Sta a noi accettarla e farne capire l’importanza. Poi il nostro compito è trovare i punti comuni soprattutto a livello di motivazioni e obiettivi da raggiungere”.

Quali tricks usi per l’allenamento mentale dei tuoi atleti?
“Non so se ci sono de trucchi. Sicuramente ci sono approcci diversi per ogni singolo giocatori. Avere e richiamate costantemente delle ancore positive è fondamentale”.

Sassari e Venezia ti aspettavi una finale scudetto così?
“Dal post Siena, ci sono state più sorprese che pronostici rispettati. In questi anni la sorpresa, diciamo così, è stata la normalità. Non mi aspettavo queste due squadre in particolare ma ci sia in finale una o due squadre che non pronosticate, sì”.

Quali sono i tuoi obiettivi professionali?
“Contribuire alla crescita dei singoli, facendoli arrivare dove non riuscirebbero da soli, e aiutarli a ottenere come gruppo quello che non potrebbero come singoli. Questa è la mission dell’allenatore.”

Una curiosità, dietro l’allenatore c’è un uomo: quali sono i tuoi hobbies e le tue passioni cosa fai nel tempo libero?
“Sinceramente non ho interessi marcati oltre alla pallacanestro, che tiene occupato gran parte del tempo della mia giornata. Per questo poi ho piacete e necessità di dedicare il tempo rimanente alla famiglia, senza la quale sarebbe veramente difficile sopravvivere agli alti e bassi collegati alla mia professione”.