La cultura della fatica. Che non è uno slogan tanto per riempirsi la bocca, ma un vero e proprio stile di vita eletto a decalogo di ogni gesto quotidiano, anche il più semplice. Lui è Stefano Rubinetti, 22 anni da compiere ad aprile prossimo, guardia dell’OrtoEtruria. Professione? Cestista. E anche questa non è una banalità perché questo ragazzone romano (quartiere della Magliana) ha scelto la palla a spicchi come primo e (per ora) unico impegno.
“E’ il mio lavoro – racconta – e cerco di svolgerlo nel migliore dei modi. Non so dove potrò arrivare, ma ogni giorno faccio ogni sforzo per arrampicarmi il più in alto possibile”.

E già in queste poche frasi si comprende come il basket rappresenti per Stefano molto più che una passione. Faccenda che si può spiegare non solo come una tradizione di famiglia, ma soprattutto come scelta ragionata:
“Ormai vivo nelle palestre da una quindicina d’anni e anche di più. Senza non mi vedrei proprio. Sono nell’età giusta per pensare soltanto allo sport che pratico da sempre e che considero un vero e proprio lavoro. Adesso va così, poi si vedrà”.

Qualche progetto per il futuro, comunque, è già in cantiere…
“Non ho ancora le idee molto chiare. Dopo il liceo classico, che considero la scuola più formativa, ho provato con scienze motorie, ma sinceramente la cosa non è che mi abbia entusiasmato granché. E quindi ho lasciato perdere abbastanza presto”.

E adesso?
“Mi piacciono molto le lingue, sono un grande appassionato di teatro e mi piacerebbe fare l’attore, ma anche il doppiaggio mi interessa molto. Non ho ancora deciso, in tutta onestà. Magari anche attraverso la pallacanestro, potrei fare qualche esperienza all’estero…”.

Molte idee e abbastanza in contrasto tra loro: come se ne esce?
“Non lo so ancora e proprio per questo la decisione viene costantemente rimandata. Intanto, se dovessi iscrivermi all’università, sicuramente sceglierei un ateneo on line: non ho il tempo e nemmeno la possibilità di frequentare. Meglio studiare da casa”.

Intanto un breve aggiornamento sulle condizioni fisiche dopo la distorsione alla caviglia patita contro Pontinia.
“Va decisamente meglio. Per fortuna, non ci sono state lesioni o interessamenti dei legamenti. Ho ripreso ad allenarmi ma senza forzare troppo. Vedremo nei prossimi giorni se domenica potrò farcela, bisogna essere attenti in questi casi a non rischiare ricadute”.

Si diceva che il basket è un “male” di famiglia: a casa Rubinetti, insomma, si mangia pane e palla a spicchi. La mamma ci giocava, il papà pure e adesso fa il coach (quest’anno in B femminile ad Aprilia) dove gioca anche la sorella maggiore Sara. Perché meravigliarsi se anche Stefano ha seguito le tracce familiari? Ma c’è pure un bel vocione baritonale che potrebbe ispirare un lavoro nel mondo dello spettacolo:
“Ho fatto teatro – spiega – già ai tempi della scuole medie e ho seguito corsi di doppiaggio. Questa voce è identica a quella del babbo e del nonno e anche a loro dicevano di sfruttarla bene, ma poi nella vita hanno fatto tutt’altro. Certo è un percorso che mi solletica molto…”.

Ma per ora c’è il basket.
“Tralascio i primissimi anni e passo direttamente al periodo trascorso alla Hsc di Ostia che è stato quello più formativo e importante per me. Lì ho avuto la possibilità di conoscere e di essere allenato da colui che considero il mio maestro: Stefano Bizzosi. Ho avuto esperienze nella Virtus Roma, squadra con cui ho esordito anche in A2 ad Agrigento: emozione indimenticabile. A 16 anni, fui chiamato alla Bakery Piacenza, ma ci rimasi solo 10 giorni. Sinceramente non me la sentii di restare lì e di vivere lontano da casa: ero troppo giovane. Non mi pento di quella decisione: mio padre premeva affinché accettassi, mia madre frenava un po’, alla fine decisi di lasciar perdere. Se avessi accettato, forse sarebbe cambiato qualcosa, chissà…”.

Il “maestro” vero comunque sta proprio in famiglia…
“Già, si tratta di mio padre Lorenzo che mi segue appena può compatibilmente con i suoi impegni. Durante la partita, non mi dice niente, se non qualche sguardo muto dal quale quale capisco subito dove e che cosa ho sbagliato. A casa, si apre e mi snocciola tutti gli errori fatti. Devo dire che le sue analisi sono sempre perfette, anche se sono io il primo a sapere quali sono stati i miei errori. E devo dire pure che, quando lo merito, arrivano pure i complimenti”.

La vita privata, Stefano?
“Non è che sia tanta, a dire il vero. Vivo durante la settimana a Viterbo e torno a Roma per un giorno, massimo due a seconda che si giochi di sabato o di domenica. Da tre anni sto con Eleonora, la mia ragazza: lei fa danza e studia Giurisprudenza. A Viterbo condivido l’appartamento con Pebole e De Gregorio. Mi trovo bene qui: una cittadina tranquilla e vivibile, assai diversa dal caos della capitale. Ringrazio i miei ‘Tom Tom umani’ Andrea Meroi e Leonardo Casanova che me l’hanno fatta conoscere. Mi manca un po’ la frequentazione con gli amici di sempre, ma sono convinto che vivere lontano da casa sia molto utile per la formazione e per la crescita come uomo. Mi piacciono le serie tv e i film d’azione”.

Non resta che parlare della Stella Azzurra e della prima sconfitta…
”Io l’ho presa male, anche se non ho giocato. Mi rendo conto che prima o poi doveva arrivare, ma non mi è piaciuto il modo. Abbiamo cominciato benissimo, ma poi siamo usciti dalla partita e non siamo più riusciti a rientrare. Non deve accadere perché i momenti di difficoltà, che sono inevitabili, vanno gestiti e superati tutti insieme, come squadra. Spesso sono i particolari a fare la differenza: una palla recuperata, uno scivolamento, un posizionamento… Ecco su quello dobbiamo continuare a lavorare con la solita applicazione e seguendo i suggerimenti di coach Umberto che è un perfezionista e che cura ogni minimo dettaglio. Adesso bisogna riprendere a correre, questo è sicuro”.

E se lo dice Stefano Rubinetti con quella voce un po’ così…

 

FONTE:Nicola Savino, Ufficio Stampa Stella Azzurra Viterbo